I NOSTRI TEATRI NON CHIUDONO!

Teatro Verdi Trieste

 

Sabato mattina ho incontrato i lavoratori del Teatro Verdi, a pochi giorni dall’inizio della stagione lirica, per fare loro un grandissimo in bocca al lupo a tutti loro e per condividere assieme gli ottimi i risultati raggiunti.

Oggi ci sono le premesse per un’eccezionale stagione.
Ne cito solamente una: dopo ben nove anni di calo continuo degli abbonati, questo è l’anno dell’inversione di tendenza! È cresciuto il pubblico, ed è proprio questo forse il segnale più bello che ci potevamo attendere per questa stagione. Abbiamo già un segno positivo rispetto alla precedente stagione, e auspichiamo che questo sia solamente il primo di molti.

Altro nota positiva che ci colma di soddisfazione è il crescente avvicinamento del pubblico giovane al teatro, pubblico che rappresenta il principale investimento sul futuro.

Voglio spendere qualche parola su quanto abbiamo fatto insieme in questi anni, e lo faccio partendo da quelle che sono state le responsabilità di questi quattro anni come Sindaco di Trieste. Sono stati quattro anni difficili, come sappiamo tutti, per l’Europa, per l’Italia e per la nostra città. Ogni volta che una relatà va in criso e sta per chiudere è un dramma. C’è però una differenza fondamentale tra un’azienda e un teatro: quando un’azienda chiude, genera una perdita di patrimonio industriale e occupazionale, ma lascia la speranza e la possibilità che un’altra azienda apra e che possa in qualche modo sostituirla, che possa permettere di recuperare almeno una parte del patrimonio perduto.

Quando un teatro chiude, invece, ha chiuso per sempre. Le dinamiche che si innescano non hanno una possibilità di ripresa.

Lasciatemelo dire: i nostri teatri non chiudono, i nostri teatri vanno avanti!

Sono una risorsa per la città, per la sua intelligenza, per la sua cultura, per la sua immagine. È un insieme straordinario che noi abbiamo il compito di salvaguardare, di difendere, e di rendere la leva del nostro futuro.

Cosa abbiamo fatto assieme ai lavoratori del Teatro Verdi in questi anni?

teatroverdi1

Usando un’ espressione sportiva potremmo dire di aver fatto squadra, scegliendo un’espressione più adatta al contesto potremmo dire aver lavorato assieme come una grande orchestra.

Ho cominciato a occuparmi del teatro Verdi nell’estate del 2011, come presidente della Fondazione. Nel deserto generale dell’estate, ho girato personalmente le banche perché non c’erano gli stipendi dei mesi di luglio, agosto e settembre di tutti quanti i lavoratori.

In quei mesi io ho avuto paura per il teatro, ho avuto veramente paura. I dati emersi erano drammatici: dal 2001 al 2010, nove esercizi su dieci si erano conclusi con una perdita. La perdita del 2010 era stata di 4 milioni di euro, e la perdita che si profilava per il 2011 era di altri 4 milioni. Abbiamo evitato tale perdita, con un’operazione straordinaria di transazione ad una vertenza con il Ministero dell’Economia.

Il debito con le banche del teatro Verdi era di 23 milioni di euro. Oggi siamo in presenza di 4 esercizi che si sono chiusi in positivo. Il debito con le banche da 23 milioni di euro è sceso a zero, ed è stato sostituito da un debito trentennale di circa 13 milioni di euro, per la precisione 12 milioni e 982 con il Ministero dei Beni Culturali.

Cosa significa?

Qualcuno dirà: “Beh, prima c’era il debito con le banche, ora c’è il debito con il ministero dei beni culturali”.

Facciamo il confronto in modo molto semplice e aritmetico, immaginando che il debito appartenga alla nostra famiglia.

Immaginiamo di avere un debito con una banca di 55 mila euro con le seguenti caratteristiche: ci costa dai 2.500 ai 3.000 euro all’anno di spese di interessi; il che vuol dire che alla fine dell’anno dobbiamo pagare 2.500-3.000 euro di interessi senza che questo abbatta di un euro il debito, che rimane di 55 mila. Inoltre il nostro debito fa si che la banca, nel caso smetta di fidarsi di noi, possa decidere di chiederci di restituire interamente il debito, immediatamente, provocando la crisi della nostra vita familiare.

Immaginiamo ora che quel debito, per la nostra famiglia, oggi è di 30 mila euro, che restituiremo mille euro l’anno, con un interesse per il primo anno di 150 euro, interesse che cala ogni anno di 5 euro.  La differenza fondamentale è che dopo il primo anno non dobbiamo più 30 mila euro, ma ne dobbiamo 29, il secondo anno 28 e così via…

Quindi la nostra famiglia è passata da una situazione in cui pagavamo 2500 euro al mese per trovarci tra 30 anni con 55 mila euro di debito, a una situazione in cui ne paghiamo 1150, calando un pochino ogni anno, con il risultato di trovarci tra 30 anni senza debiti.

Immaginiamoci queste due situazioni per la nostra famiglia per comprendere la differenza di situazione che vive la nostra famiglia collettiva che si chiama teatro Verdi.

Perché sono successe queste cose?

teatro verdi2Perché abbiamo lavorato bene tutti quanti noi. In primo luogo i lavoratori del teatri Verdi hanno fatto dei sacrifici che ci hanno consentito di contribuire a un taglio dei costi del teatro, in modo da poter mantenere i posti di lavoro.

 

Nel 2011 spendevamo 4 milioni all’anno in più di quanto potevamo permetterci di spendere, ora la situazione è stata riallineata.

Ciò è stato possibile perché il Comune e la Regione hanno creduto nel progetto per il Teatro Verdi e continuano a farlo.

Il Comune oggi dà 45% in più all’anno a questo teatro, rispetto a quello che dava nel 2011. La Regione ci ha creduto, com’è noto, abbuonando una parte del debito.

La Regione e il Ministero hanno avuto fiducia nell’operazione, perché abbiamo dimostrato tutti assieme, come una grande orchestra, di essere capaci di affrontare questa situazione e di rimetterla nell’equilibrio economico, per fare poi dell’equilibrio economico la premessa per il rilancio della sua missione culturale, che è ciò che ci sta a cuore.

Tutto ciò deve essere raccontato perché la città deve volere sempre più bene a questa istituzione, la deve sentire come un patrimonio che va difeso, custodito e accompagnato. Gli abbonamenti sono un modo importante per custodirlo e accompagnarlo.

Dobbiamo essere, tutti quanti assieme, orgogliosi.
Il problema è stato affrontato con lo stesso senso di responsabilità con cui ho affrontato ogni crisi, ma con quella consapevolezza di cui vi parlavo prima: le alternative alla chiusura di questo teatro non c’erano. O si salvava questo teatro e lo si rilanciava, o la città sarebbe stata definitivamente più povera.

Potrei fare lo stesso discorso per il teatro Stabile, che ha corso rischi analoghi, forse ancora meno raccontati di quelli del teatro Verdi. Nel 2010 e nel 2011 ha chiuso due bilanci in passivo, nel settembre del 2012 anche il terzo bilancio si presentava in passivo. Per essere chiari: tre bilanci in passivo nel sistema teatrale della prosa portavano alla liquidazione coatta amministrativa.
Abbiamo corretto la perdita portando il bilancio a un leggero utile che interrompesse questa catena negativa che stava portando alla liquidazione, permettendoci così di dare una nuova prospettiva al teatro Stabile.

Oggi il Teatro Verdi vive una stagione diversa. Per 30 anni dovremo lavorare per l’equilibro dei conti di questo teatro, l’impegno deve essere dedicato all’evitare assolutamente che si ripeta la drammatica situazione del 2011, una situazione che in pochi mesi poteva portare alla chiusura del Teatro. Ma il Verdi ha davanti una grande prospettiva, perché su questi 4 anni ha costruito una responsabilità comune, una consapevolezza che oggi ci porta alla vigilia di una stagione che ricomincerà a farci sognare e un po’ alla volta a crescere, solidamente.

Il teatro deve essere un punto di riferimento insostituibile per la cultura di questa città, di questa regione, per la musica e per il benessere delle persone. 

Dobbiamo continuare su questa strada: la sfida del benessere deve essere combattuta nel teatro ma anche fuori da esso. La responsabilità dell’amministrazione comunale è usare i propri soldi per il benessere dei cittadini, facciamo in modo che il benessere che deriva dall’investimento sulla musica che fa il Comune di Trieste, sia un benessere che vada a coinvolgere sempre più cittadini, di ogni condizione sociale, di ogni insediamento abitativo, di ogni età, guardano contemporaneamente ai più anziani e ai più giovani.

Quindi dico grazie a tutti, grazie a tutti i lavoratori del teatro che con me hanno lavorato a questo risultato.

 

Roberto Cosolini – La mia idea del futuro di Trieste

In questa campagna elettorale ho parlato di Trieste e ho illustrato programmi e proposte per il rilancio della città. Sento in questi giorni dall’altra parte tentativi di deformazione delle nostre posizioni e di agitare fantasmi. Noi continuiamo per la nostra strada, invitando al voto per Trieste e per la soluzione dei problemi di Trieste. E’ nostra intenzione aprire una fase nuova, tagliando ogni ponte con la contrapposizione ideologica del Novecento e rappresentare Trieste come una moderna città italiana ed europea. Spero che un analogo processo possa cominciare anche nel centro destra, nonostante le retromarce di questi ultimi giorni.
Se eletto Sindaco voglio riconoscere fino infondo il ruolo dell’opposizione, ascoltarne le proposte e lavorare insieme per Trieste. Per questo motivo mi soffermo su alcuni temi emersi da liste e candidati non presenti al ballottaggio, ma che considero utili e interessanti.
Si è invocata una legge speciale per Trieste. Non so se sia possibile, ma certo serve un impegno del Governo con importanti risorse straordinarie per Servola, per il Porto e per le bonifiche. Chiameremo tutti ad una seria elaborazione, di modo che si possa fare fronte unico in Consiglio regionale e in Parlamento per l’approvazione di un provvedimento necessario.
Si è molto discusso dell’assetto istituzionale della Provincia. Davanti all’idea dell’area metropolitana ho espresso la preoccupazione che, intervenendo nello stesso territorio, peraltro molto limitato, non si riesca ad affrontare il tema di fondo della dimensione necessaria per un livello istituzionale superiore al Comune. Credo perciò che dopo il voto si debba lavorare per una semplificazione istituzionale e per porre le basi per un rapporto con Monfalcone e Gorizia. Troppi sono gli aspetti in comune tra le due aree: dalla collocazione vicina alla Slovenia, all’essere un unico distretto cantieristico navale e nautico e al divenire un’unica realtà portuale. Bisogna lavorare per un livello istituzionale adeguato.
Sul Porto vecchio condivido le sollecitazioni ad un attento presidio del buon uso di questo enorme patrimonio pubblico, che è una risorsa per il nostro futuro.
Infine, Trieste si sviluppa se riesce a darsi un’idea di città. La variante 118 certo non lo ha fatto e contiene al suo interno forti criticità. Dovremo lavorare da subito per una nuova pianificazione urbanistica, anche in vista di scadenze urgentissime.
In conclusione, davanti alla sfida dell’economia e del lavoro, della società solidale e della valorizzazione del grande patrimonio culturale e ambientale del territorio di Trieste, chiedo a tutti di sostenere il mio sforzo al cambiamento.
Propongo un lavoro comune per Trieste e un clima politico in cui un centro sinistra e un centro destra rinnovati e moderni possano d’ora in poi confrontarsi sui temi veri della coesione e dello sviluppo.

Roberto Cosolini