Il caso Wartsila e la deindustrializzazione

Ritorno sul tema della deindustrializzazione, alla luce anche del caso Wartsila.
Nel farlo ribadisco come sia fondamentale in questo momento la più ampia unità possibile attorno ai lavoratori per difendere il loro futuro e se possibile quello del segmento produttivo di Wartsila.
Nello stesso tempo però ritengo che l’indebolimento industriale di Trieste e dell’area giuliana venga da lontano e sia stato anche facilitato da atteggiamenti,presenti nella politica e nelle categorie economiche, che ne hanno sottovalutato l’impatto, intenti com’erano nel raccontarci uno splendido futuro da ”città dei divertimenti”: come non ricordare un’assemblea generale di Confindustria alla SISSA dove il sindaco, davanti all’allora Presidente Nazionale Luca Cordero di Montezemolo, si spingeva a teorizzare la città senza industria, o un presidente della CCIAA , ahimè sempre spalleggiato da tutte le associazioni, che ha scommesso tutto nei suoi mandati su un acquario….O ancora le sparate circa un futuro nei servizi comunali (!) dei dipendenti della ferriera! Potrei continuare con esempi ma credo sia sufficiente.
Magari sarebbe già qualcosa se oggi riconoscessero di aver sbagliato…..Certo i finlandesi le loro decisioni le avrebbero prese comunque ma visione e azioni di sistema a livello locale sarebbero state più efficaci e consapevoli nel proporre un ambiente favorevole agli insediamenti produttivi.
Credo di averci provato nei cinque anni da sindaco, ad esempio pagando anche un pesante prezzo elettorale sulla vicenda Ferriera per aver favorito l’arrivo del gruppo Arvedi che in quel momento ha salvato l’azienda. Non era certo amore incondizionato per la siderurgia a caldo il mio, ma la consapevolezza che in quel momento garantire la continuità, mitigando l’impatto ambientale, era la condizione per mantenere aperta una prospettiva di utilizzo produttivo dell’area e una reale possibilità per l’occupazione.
Sappiamo come sono andate poi avanti le cose: alcuni anni di continuità appunto, riducendo l’impatto anche se azzerarlo non era possibile, e poi un’intesa che ha portato alla prosecuzione di un’attività industriale a freddo e al progetto della piattaforma logistica. Resto dell’idea che se avessi lasciato morire la ferriera avrei avuto magari più voti, ma al posto del laminatoio, della demolizione dell’area a caldo e della trasformazione logistica avremmo probabilmente un sito abbandonato ( come tanti in Italia), senza prospettive, con più disoccupati e magari con un grande problema ambientale determinato dall’abbandono al logorio del tempo degli impianti in disarmo.
Mi si dirà: l’Autorità Portuale sarebbe intervenuta comunque. Rispondo:
-sì ma con maggiori difficoltà e tempi molto più lunghi a definire accordi in una situazione di abbandono e liquidazione
e poi
-sì ma quale Autorità? Se fosse dipeso dai sopra citati teorici della deindustrializzazione al posto di D’Agostino ci saremmo trovati o la conferma della presidente del porto uscente oppure magari il subentro dell’allora, e sempre in servizio, presidente camerale.
Al di là di questo esempio, spero che l’illusione di poter garantire uno sviluppo armonico e coeso di un territorio quale il nostro prescindendo completamente dall’industria sia finalmente spazzata via.

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