Porto Vecchio: l’uscita di Portocittà

Si sono dette e scritte molte cose sul Porto Vecchio.

L’uscita di Portocittà in realtà ha due motivi maturati di recente e uno che viene da molto più lontano.

portovecchio
Il Porto Vecchio – La foto è di Antonio Marano www.antoniomarano.com

I motivi maturati di recente sono l’atteggiamento certo non disponibile dell’Autorità Portuale a favore dei passi necessari per rendere più fattibile il progetto, quali ad esempio, lo spostamento del punto franco e la presa d’atto, da parte della cordata, di una dimensione e una complessità dell’investimento anche alla luce del sopraggiungere della grave crisi, oltre alle “difficoltà ambientali”.

Come dicevo però, c’è un motivo che viene da più lontano: non è stata fatta una scelta chiara, con tutte le decisioni conseguenti, sul fatto che quell’area dovesse rimanere portuale o progressivamente essere protagonista di una rigenerazione urbana a tutti gli effetti.
Questa scelta sta nella testa della stragrande maggioranza dei cittadini e di quelli che, venendo a visitare Trieste, confrontano quell’abbandono con le importanti operazioni di recupero delle grandi aree portuali dismesse in tante città marittime d’Europa e del mondo.
A monte ci deve essere l’attribuzione della competenza a guidare il progetto, se deve essere porto, che sia l’Autorità Portuale, se deve diventare città, che sia il Comune, quindi una visione strategica, urbanistica con le infrastrutture adeguate e necessarie.

Per non perdere definitivamente questa opportunità e assistere passivi all’abbandono, bisogna sciogliere questo nodo. Nel farlo sorge innanzitutto un dubbio: se il regime di punto franco e quel sito fossero così appetibili, negli ultimi 20anni ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe scelto di sfruttarlo, no? A ciò si aggiungono le chiare criticità di mantenere in quell’area una funzione portuale, come fondali inadeguati, caratteristiche degli spazi dei magazzini e collegamenti, basta pensare che il traffico stradale di quella parte del porto dovrebbe impegnare le rive di una città turistica, funzione portuale che è naturalmente realizzabile nel porto nuovo; lo dice il piano Regolatore del Porto e non Roberto Cosolini.

Inoltre vi è il persistente chiacchiericcio su presunti benefici del punto franco, che non trovano alcun fondamento normativo, quale il minor costo del lavoro o le agevolazioni fiscali per l’industria.

Ad esempio, un’azienda come la Illy, decisamente globale, non avrebbe sfruttato la situazione se ci fossero dei vantaggi, visto che usa il porto di Trieste per l’arrivo della materia prima e per il trasferimento del prodotto? Quindi la distinzione non è, come qualcuno vuol far credere, tra un uso portuale-produttivo agevolato da benefici che in realtà si limitano all’extradoganailtà delle merci in transito che interessa una parte sempre minore della movimentazione portuale, e una presunta speculazione immobiliare, ma tra il mantenimento dell’esistente, che è sotto gli occhi di tutti, con qualche marginale utilizzo di piccole porzioni e una grande, per quanto difficilissima, azione di trasformazione e di valorizzazione nell’interesse della città. E’ su questo che la città si deve esprimere, sulla base di informazioni reali e oggettive, su ciò che si può fare o non si può fare, su cos’è in realtà il Punto Franco di cui parliamo, su come si sviluppano i porti moderni d’Europa e del mondo, sul modello di città verso il quale guardiamo.

Come Amministrazione, per evitare che cali il sipario, con l’unica amara curiosità di scoprire se 51% della colpa era di Autorità Portuale o di Portocittà, daremo il nostro contributo con un prossimo appuntamento, affinché la città, nelle sue componenti politiche, istituzionali, economiche, professionali e culturali possa esprimersi.

11 thoughts on “Porto Vecchio: l’uscita di Portocittà

  1. Il problema della nostra città,credo che sia quello di non saper più cosa può essere in una Europa che è così velocemente cambiata in un contesto internazionale complesso di crisi economica.
    Sono d’accordo con il sindaco quando dice” se il regime di punto franco e quel sito fossero così appetibili, negli ultimi 20anni ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe scelto di sfruttarlo, o no?”E allora sorge spontanea la domanda di Medea: CUI PRODEST ?
    E spero che a questa domanda ci sia una risposta,perché se così non fosse,l’immobilismo che si è visto sulla questione di porto vecchio sarebbe veramente folle. Quindi spero che il tutto non sia archiviabile col folcloristico ( non se pol ),perché soltanto se la volontà di non far nulla,i di inventare nuove strategie per non far nulla sono reali allora si può contrastare un declino della città che è già reale contrastando le stesse.. Nessuno ha mai vinto contro i mulini a vento,e certamente non è il periodo di novelli Don Chisciotte,necessitano scelte concrete da persone concrete nelle soluzioni. Ovviamente risolvere la questione del porto vecchio non è sufficiente a far uscire dal lento ma continuo declino la nostra Trieste,ma sarebbe sicuramente l’inizio di una terapia che potrebbe dare nel tempo buoni risultati.
    E’ anche per questo che non credo sia una buona idea quella referendaria,perché un problema come quello del porto vecchio ha necessità del coraggio di una classe dirigente e politica che metta la faccia in prima persona assumendosi con forza le responsabilità che il caso richiede.
    Inevitabilmente i cittadini chiamati a rispondere ad un quesito referendario sul futuro del porto vecchio risponderebbero col cuore di veri triestini ,ma come sappiamo molte volte il cuore ci fa stare lontano dalla realtà e dal pragmatismo e ci avvicina al più morbido e dolce album dei ricordi,ma che purtroppo sono solo ricordi.
    Fulvio Krizman

    1. Questa stucchevole diatriba sul porto vecchio lascia ormai un amaro in bocca che durerà per molto. Rimarrà come un icona questo grande vuoto, emblema del declino economico e strutturale del territorio intero, e che nessuno sa, e nemmeno pare sia in grado di come riempire con qualcosa che veramente inneschi un’inversione di marcia.
      Da una parte l’attuale Autorità Portuale da cui non sembrano giungere proposte concrete, o almeno segnali positivi di una volontà nel ricercare soggetti disposti ad usufruire del punto franco, ma che rimane ferma nel non voler cedere a chicchessia il suo potere sull’area.
      Dall’altra l’attuale Amministrazione della città che vorrebbe appropriarsi di questo water front e, sull’esempio di realizzazioni attuate in altri porti europei, ma dimenticando tutte le differenze che ci separano da quelle realtà, trasformarlo come in un libro di fiabe in una vetrina in cui specchiarsi. E trovo scorretto appellarsi alla cittadinanza in una sorta di referendum quasi fosse da scegliere il colore della nuova squadra.
      Poi su tutti la impera la presenza intoccabile della Sovraintendenza alle Belle Arti, vero arbitro della situazione, non disposta a far cambiare un chiodo su quelle strutture, e questo scoraggia ogni tipo di proposta.
      Soluzioni? Molto probabilmente ci sono, e da tempo. Forse qualcuno deve cedere qualcosa, o ci sono delle concessioni da dare in cambio. O forse c’è solo da aspettare che gli attori in campo cambino.

  2. Condivido pienamente l’analisi di Cosolini: è necessario chiedere quindi non solo al Comune ma anche ai candidati regionali di impegnarsi perchè il nodo cruciale della competenza sull’area del porto vecchio venga sciolta. E’ chiaro che se il porto vecchio rimane di competenza AP sarà difficilissimo ottenere un cambio d’uso, se passa invece al Comune le cose possono cambiare. Quali sono i tempi tecnici perchè ciò avvenga?
    Chi sarebbe intitolato a decidere? Quelli stessi che non hanno mai deciso di erogare 30M€ per la piattaforma logistica e continuano ad insistere per un rigassificatore all’interno del porto nuovo?

  3. Da quando le mani sul porto le ha messe il senatore Giulio Camber, il burattinaio della presidente Marina Monassi, non si sono viste proposte, ma soltanto rifiuti. Ricordiamoci che Camber e la destra che lo sostiene sono i veri paladini del “no se pol” che sta ancor oggi paralizzando la città.
    Sono loro che hanno bloccato qualsiasi ipotesi di riutilizzo del Porto Vecchio per lasciare tranquille le vacche di Prioglio, il gran finanziatore della Lpt, uniche superstiti utilizzatrici finali del magazzini absburgici. Ma adesso Prioglio è fallito e non ci sono più neanche le vacche e tutto sta andando in rovina.
    Ma loro preferiscono le macerie e mantenere il loro meschino potere invece di aprirsi al nuovo.
    Un “no se pol” che nacque con il boicottaggio del progetto Fiat-Generali per il Porto vecchio che ha fatto perdere alla città più di tremila posti di lavoro. Infatti le assocurazioni cittadine hanno dovuto crearsi il loro centro operativo a Motta di Livenza.
    Sarebbe importante che i triestini, smemorati come tanti italiani, se lo ricordassero quando andranno a votare. L’occasione sta per arrivare. Il pericolo è di trovarsi con un Porto Vecchio in macerie e un bel rigassificatore in mezzo al golfo. Anzi, con due, uno anche a riva.
    Pierluigi Sabatti

    1. Mi spiace di dissentire dal mio amico Pierluigi, ma è difficile immaginare molte attività in un’area a ingresso regolamentato. Se uno vuole “far ridiventare città”, come vuole uno slogan diffuso, il Porto Vecchio, non c’è altra strada che una legge che lo scancisca, in deroga al Trattato di Pace, che a sua volta è legge dello Stato. Se non ce l’abbiamo, e non mi risulta sia mai stata neppure proposta, lo dobbiamo esclusivamente ai parlamentari triestini che si sono seduti in Parlamento nell’ultimo ventennio. Credo (ma non ne so abbastanza di trattati internazionali) che all’approvazione debba seguire un’informativa a tutti i firmatari del Trattato, inclusi gli Stati successori.
      Poi c’è un altro ostacolo, ed è l’incertezza normativa su quello che si può e non si può fare nell’area. L’ultima legge che ne parla è la legge di regolamentazione dei porti (la 84/1994). Conferma l’esistenza del Porto Franco di Trieste (pure lei) e affida al ministero l’elaborazione di un regolamento attuativo. Sono passati 19 anni, abbiamo avuto governi di destra, di sinistra, tecnici, marziani, di trapasso, di bocconiani, ma a nessuno è venuto in mente di obbedire all’obbligo sancito dalla legge. Faccio due ipotesi:
      1. Nella faccenda è nascosta una patata bollente, che nessuno ha voglia di affrontare, oppure
      2. A tutti i governi, inclusi tecnici, marziani e bocconiani, andava bene un Porto Franco di Trieste che non funziona.
      In ogni caso non è una faccenda che si possa affrontare con mozioni degli affetti di carattere locale. Occorrono gesti di volontà politica a livello nazionale.

  4. Dobbiamo imparare a decidere non con il cuore e seguendo i ricordi o la nostalgia, ma guardando in faccia la realtà. Quell’area immobile da decenni sarà un patrimonio se sapremo svilupparla in un modo moderno con un water front appetibile ed un retroterra di attività . Difficilmente si potrà insediare una qualsiasi industria , qualche grande società del terziario potrebbe aiutare a rendere la zona più viva insediandosi e portando l’indotto derivante da servizi connessi.

  5. L’analisi della situazione è condivisibile perchè logica. Va tenuto presente però che i timori dei cittadini fanno riferimento a un futuro di cementificazione dilizia che non porta denaro ma può lasciare mostri senza senso nè uso ( le città italiane ne sono piene). Credo quindi sia necessario determinare in modo più dettagliato e rassicurante, e nello stesso tempo più vincolante per l’amministrazione, quali opere si pensa di poter fare in porto vecchio o meglio definire in modo più preciso il suo modello di sviluppo e su questo coinvolgere la cittadinaza.

  6. Al di la delle strutture di tipo industriale (magazzini e strade) mi chiedo a cosa serva l’enorme superficie da anni occupata da rotaie inutilizzate e che non lo saranno mai. Mi riferisco allo spazio da Barcola al cavalcavia di viale Miramare (Molo Zero). Bisogna ritornare indietro di almeno 40 anni per ricordare queste strutture occupate da treni merci. Non è una questione di congiuntura economica ma, piuttosto, di diverso modo di movimentare le merci.
    Restituire alla città almeno quello potrebbe essere già un buon passo avanti, anche se non porterebbe alla soluzione totale del contendere. Perchè, proprio di questo si tratta, di una caparbia contesa di chi vuol mantenere vecchie posizioni di potere.

  7. Porto Vecchio in bilico tra vivere e morire.

    Se siamo consapevoli che ormai la possibilità di poter ottenere finanziamenti pubblici per far rivivere il Porto Vecchio non esiste, poiché detti finanziamenti sono ormai purtroppo da diverso tempo ridotti al lumicino, e che un futuro Emporiale non sia più proponibile sia per gli irremovibili vincoli sugli immobili che per la mancanza di collegamenti gomma/rotaia adeguati per supportare le notevoli esigenze della Portualità del Terzo Millennio, per rendersi conto di quali siano le esigenze di un moderno Scalo consiglierei una visita al sito >>> https://portualita-del-terzo-millennio.jimdo.com quindi per immaginare per quest’area un futuro penso che non ci rimane che un’unica via “togliere i lacci e laccioli” che incombono sulla libera fruizione dell’area per consentire il suo possibile riuso in chiave Cittadina.

    Riuso in chiave cittadina perseguibile soltanto se chiaramente nel rispetto e la tutela dell’aspetto esteriore degli immobili presenti nel variegato Complesso Emporiale, quest’area dovrebbe essere liberata da vincoli sia di Punto Franco che Demaniali. Punto Franco che potrebbe essere opportunamente trasferito in altri siti posti a Est del nostro frontemare e magari all’occorrenza anche ampliato andando, sia a recuperare ampi spazi al mare che modificando la destinazione d’uso a fini portali di alcuni siti industriali dismessi o in via di probabile prossima dismissione, le aree che si andrebbero a recuperate a Est sarebbero certamente molto più adeguate sia per dimensioni che per le caratteristiche/potenzialità dei collegamenti gomma/rotaia disponibili attuali/futuri, elementi questi assolutamente indispensabili per consentire al nostro Scalo di poter incrementare le sue potenzialità e metterlo realmente nella condizione di essere in grado di assecondare le notevoli crescenti esigenze dei flussi merceologici e dei vettori che l’Armamento sta mettendo in linea sulle rotte internazionali. >>> https://triestesuperporto.jimdo.com

    Soltanto se liberata da lacci e laccioli l’area del Porto Vecchio sarebbe realmente fruibile e si creerebbero le condizioni minimali per sperare di poter generare nuovi e significativi stimoli ed interessi tra i potenziali investitori/imprenditori privati, per far si possa intraprendere un percorso che la porti a divenire una parte integrale della Città e per consentire quindi che questo nostro gioiello immobiliare ereditato dal passato possa finalmente un bel giorno lasciate alle spalle le deleterie e spesso strumentali contrapposizioni del passato ritornare a pulsare giorno e notte, per generare nuove economie e lavoro per il nostro territorio.

    Parte integrale cella Città in cui sia consentito l’insediamento di tutte le attività normalmente previste nel resto dell’area urbana Triestina, siano esse – museali – congressuali – artigianali – manifatturiere – alberghiere – abitative – Istituzionali – commerciali – ricreative – parchi tematici – aree espositive – immaginando pure il possibile ulteriore sviluppo di attività marinare magari con la realizzazione di una nuova moderna Stazione Marittima che sia in grado di assecondare le crescenti notevoli esigenze del mercato >>> https://trieste-terminal-passeggeri.jimdo.com , soluzione questa che ci consentirebbe di sfruttare una nostra straordinaria opportunità “poter riunire in un unico ambito logistico funzionale” le varie tipologie di trasporto legate alla mobilità delle persone “Stazione Ferroviaria – Stazione Autocorriere – Terminal Crociere” ed il tutto adeguatamente supportato da notevoli aree a disposizione per poter gestire convenientemente sia la logistica che da destinare a parcheggi d’interscambio per i turisti in transito.

    Chiaramente la durata delle concessioni ed i canoni richiesti dovrebbero fluttuare sia in base alla consistenza dell’impegno finanziario del terminalista che alla presumibile consistenza del volano economico occupazionale che quest’iniziativa sarebbe in grado di materializzare.

    BRUNELLO ZANITTI Giuliano

  8. l’analisi del sindaco è corretta e prima di perdere definitavamente la speranza che anche in questa città sia possibile fare qualcosa tentiamo anche una risposta di massa da parte dei cittadini sull’uso di un bene che è “in primis” della città.
    certo il momento è estremamente critico, ma, ripeto, non bisogna fornire alibi.
    p.s. seguire l’invito di Pierluigi Sabatti al momento del prossimo appuntamento elettorale.

  9. Qua si tratta di fare, con quello che si ha a disposizione, nel tempo in cui si vive. Esiste(ra’) sempre una scelta migliore, ma (visti i tempi) non vi sembra un po’ scellerato gettare un complesso di persone, idee, progettualita’ senza che vi sia un piano B altrettanto sviluppato?
    A mio modesto parere, ribadisco, non si tratta di fare l’analisi migliore o di individuare il percorso che meglio salvaguardi questo o quell’interesse: c’e’ gia’ un insieme di tutele e salvaguardie (la variante di porto vecchio, gia’ approvata, pari a una aorta di piano particolareggiato) e il voto di quella che e’ una sorta di conferenza dei servizi (l’approvazione del piano regolatore portuale da parte del comitato portuale con voto quasi unanime, anche del Comune di Trieste).
    Cos’altro puo’ essere interesse generale se non essere di stimolo (anticiclici) quando il ciclo economico e’ stagnante-recessivo?

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