60° ANNIVERSARIO RITORNO TRIESTE ALL’ITALIA

È con sentita emozione e con profonda considerazione della solennità del momento, che siamo qui oggi a celebrare il 60° anniversario del ricongiungimento della nostra città all’Italia. E consegneremo la cittadinanza onoraria all’8° Reggimento Bersaglieri memori dell’emozione che suscitò il suo arrivo in decine di migliaia di triestini.

Fu un evento che allora la stragrande maggioranza dei nostri concittadini salutò con espressioni di autentica gioia, a conclusione del periodo più incerto e travagliato della nostra città.

L’ingresso dell’Italia in guerra, con l’invasione della Jugoslavia, aveva riaperto i termini di una questione triestina, e più in generale alto-adriatica che i risultati della vittoria nella prima guerra mondiale avevano fatto sembrare solidi e duraturi.

Si era aperta, così, una lunga fase in cui le violenze e le sofferenze determinate da una guerra mai così estesa e cruenta, e il susseguirsi delle occupazioni militari di Paesi stranieri avevano risospinto i confini dell’Italia alla situazione precedente all’unificazione, gettando la nostra città in una terra di nessuno da cui sarebbe uscita soltanto il 26 ottobre 1954.

Fu una terra di nessuno intrisa di incertezza e di speranza: di quei 9 anni vanno riconosciuti anche aspetti ed esperienze positive, tuttora presenti in Trieste.

Tra pochi giorni però ricorrerà l’anniversario di quei tragici giorni di inizio novembre del ‘53, che vide giovani triestini testimoniare con la vita un ideale di cui non avrebbero visto la realizzazione.

Il vuoto lasciato dall’Italia politico-istituzionale, tuttavia, non aveva cancellato il diffuso e radicato sentimento di appartenenza che la più grande parte della città nutriva nei confronti della patria italiana. Va altresì sottolineato come gli esordienti governi repubblicani, che ereditarono la dissoluzione della Venezia Giulia dall’esito disastroso della guerra, trovarono nella “Questione di Trieste” la prova più alta da affrontare; fulcro di tutti gli sforzi di una politica estera concentrata, per lunghi nove anni, sull’obiettivo di riportare almeno Trieste, città simbolo dell’unificazione e delle memorie irredentiste, entro i confini nazionali.

Si compì, così, un passaggio che solo l’inerzia e i vicoli ciechi della diplomazia internazionale avevano tardato a risolvere oltre misura, essendo questo più giusto e – mi si passi il termine – necessario storicamente, nell’impraticabilità che fin dall’inizio segnò ogni altra possibile alternativa, in particolare quella del Territorio Libero previsto sulla carta dal trattato di pace del 1947.

I Triestini presto dovettero accorgersi amaramente che l’Europa bipolare della Guerra Fredda con cui Trieste si trovava a confrontarsi dissolto il guscio artificiale e per certi versi protettivo qual era stato il Governo Militare Anglo Americano, ecco dicevo, quell’Europa era letteralmente un altro mondo rispetto a quello di “ieri” rimpianto, con la sensibilità dell’artista, da Stefan Zweig.
Si badi bene che Trieste non fu lasciata sola ad affrontare le nuove sfide globali della Guerra Fredda e della decolonizzazione, ebbe sempre accanto le istituzioni della Repubblica, la Repubblica che non solo introdusse per la prima volta a Trieste una compiuta democrazia partecipativa, ma cercò di immaginare per essa una nuova missione e un nuovo ruolo adatti alle necessità della contemporaneità.

Ed è qui che è nato, con la particolare attenzione posta sulla scienza, sulla ricerca, sui servizi e sulle politiche del dialogo e dell’incontro quel modello di città aperta e integrata che resta il solo, ancora oggi spendibile, in grado di tracciare un futuro di fiducia per tutta la nostra comunità.  Proprio pochi giorni fa in questa sala, festeggiando i 50 anni dell’ICTP, ricordavamo come all’Italia si debba questa grande scommessa, oggi ampiamente realizzata, di una Trieste Città della Ricerca e dell’Alta Formazione, caratterizzata da una rete di istituti che le hanno rinnovato un ruolo internazionale, di porto delle idee e della conoscenza, hanno creato lavoro e ricchezza, hanno offerto strumenti per l’innovazione delle imprese, l’hanno vista e la vedono ospitare migliaia di scienziati e di giovani ricercatori che con questa città hanno così stretto un legame portandone il nome e l’immagine nel mondo.

È una risposta questa, non l’unica ma certo è molto significativa, a chi rimpiange presunte età dell’oro che l’Italia avrebbe cancellato, oppure propone l’idea di un territorio di bengodi che deriverebbe, in una città che i confini li ha sofferti e le aperture le ha valorizzate, dal mettere i confini in ogni direzione a 10 km da Trieste.

Perché la nostra città ha saputo, dopo i decenni delle memorie contrapposte, dopo un lungo dopoguerra in cui muri fisici, ideologici e mentali retaggio delle tante e diverse tragedie che hanno concentrato in questi luoghi, e su questa comunità gli orrori e le tragedie del Novecento…Trieste ha saputo riconciliarsi nel rispetto delle memorie, nel riconoscimento delle diverse ragioni e dei diversi torti e trovare nella propria coesione civile la risorsa per guardare al futuro.

Città matura, quindi, e comunità consapevole di ciò che ha dovuto attraversare e del monito a praticare e promuovere valori di libertà, di rispetto, di amicizia soprattutto tra i più giovani, vero e proprio antidoto al rischio del riproporsi di logiche di sopraffazione e violenza.  Trieste è la città che ha saputo costruire con diversi momenti di alto valore simbolico e civile questo itinerario di pacificazione e di riconoscimento. Percorso che è stato possibile, soprattutto, grazie al contributo e alla vicinanza delle Istituzioni della Repubblica.

Per questo oggi non possiamo ritrovarci con la sindrome dei “giapponesi nella giungla”.

Il rispetto delle memorie e il rigore della ricerca storica sono i punti di riferimento per collocare nella giusta prospettiva il lungo e tormentato itinerario di sofferenze e tragedie vissute, per ricordarne luoghi e momenti, sottraendoli definitivamente da logiche rivendicazioniste della politica che ha, invece, la responsabilità di pensare al futuro, e di confrontarsi sull’idea di futuro.

La politica delle contrapposizioni sul passato, pur talora sincere perché figlie di sofferenze e magari ricche di passione vera, rischia però di portare sulle sue spalle la responsabilità storica di non aver costruito nulla per il futuro di questa città e dei suoi giovani, di aver lasciato cadere occasioni e opportunità per realizzare la sua missione più alta, assicurare benessere e futuro alla comunità di cui è espressione.

È questa perciò, oggi, la nostra missione, è questa la nostra responsabilità: oggi che non siamo più obbligati a contrapporre valori e identità importanti, quasi si dovessero negare l’uno con l’altro, e per decenni a Trieste così è stato.

Oggi siamo più liberi, di non doverci dividere in identità contrapposte.
Siamo liberi di sentirci italiani e cittadini d’Europa e di questa parte d’Europa, patrioti e aperti all’incontro di culture e diversità, essere orgogliosi di storia e cultura italiane e aperti all’incontro e al contributo di altre storie e culture, guardare all’Europa e al Mondo e contemporaneamente essere risorsa per l’Italia.

Anche qui c’è una nuova responsabilità: quella di una città che vuole dare all’Italia, non solo e non tanto perdersi a discutere se ha ricevuto abbastanza.

Quando la presento all’estero la definisco spesso la più europea delle
città italiane: lo è, ma forse è qualcosa di più, e lo dobbiamo alle tracce e all’eredità di una storia grande e complessa, ma anche a ciò che ci hanno lasciato i momenti più difficili che abbiamo dovuto attraversare. Tutto ciò ci rende una grande città, anche se spesso ce ne manca la consapevolezza, intrisi come siamo di nostalgismo o di vittimismo, e la responsabilità .

E mentre oggi festeggiamo questo 60°, mentre ci stringiamo con un segno di affetto al Reggimento che per primo entrò a Trieste segnando la fine di una lunga contesa, pensiamo anche a ciò che siamo oggi e a ciò che possiamo fare in questo momento difficile per la nostra comunità, per i nostri figli, per il loro domani e a ciò che Trieste può e deve fare per l’Italia.

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