27 GENNAIO GIORNO DELLA MEMORIA

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Questa giornata nasce prima di tutto affinché la memoria di quanto accaduto non scompaia insieme ai suoi testimoni. Affinché le nuove generazioni se ne facciano custodi, perché la memoria è un grande strumento di crescita civile per la nostra società.
Custodire non basta: la memoria va impiegata nella costruzione di un mondo migliore, prima di tutto imparando a non ripetere gli errori che l’uomo ha commesso in passato.

Il luogo in cui ci troviamo è l’emblema di una tragedia, ferocemente programmata che causò sofferenza, dolore e morte di milioni di innocenti, ma anche l’oscuramento di fondamentali valori di civiltà e lo sgretolamento della dignità umana, tanto delle vittime quanto dei carnefici.
Morirono, come ho detto, milioni di persone, ebrei innanzitutto, vittime di una aberrante idea di superiorità razziale e di un feroce attacco a quei valori di civiltà liberale e moderna che in tanta parte di Europa erano maturati.
Si voleva colpire l’Europa tollerante e illuminata per ridisegnarla secondo un nuovo ordine sociale basato su una aberrante gerarchia tra individui e popoli.
Trieste era stata esempio di tolleranza, di libera iniziativa, di cosmopolitismo, di convivenza di culture. A Trieste toccò, e questo luogo ne è simbolo, conoscere in prima persona la negazione di tutto ciò e la negazione dei diritti fondamentali al rispetto, alla libertà, alla vita.
Toccò anche ad altri: zingari, omosessuali, diversamente abili, dissidenti politici e prigionieri di guerra, persone colpevoli di parlare una lingua o di avere una fede religiosa diversa.
E’ giusto ritrovarci qui per dire a loro che onoriamo la loro memoria con la promessa “tutto questo non accadrà mai più!”
Non basta dirlo, occorre ricordare come iniziò e chi partecipò.
Non iniziò con i lager, bensì con primi segni di intolleranza sapientemente manovrati da chi sapeva tradurre il malessere sociale nella trasformazione del diverso, prima in un pericolo e poi in un vero e proprio nemico;
Non cominciò con le camere a gas ma con la lenta e progressiva affermazione di gerarchie tra gli individui basate su fede religiosa, colore della pelle, cultura.
Non iniziò con le deportazioni ma con la progressiva riduzione e poi eliminazione di fondamentali libertà civili: a incontrarsi a muoversi, a lavorare, a studiare.
Ci fu chi pianificò la strategia di persecuzione e sterminio, ci fu chi la eseguì, ma ci fu anche tanta connivenza. Vuoi per inconsapevole adesione, vuoi per convenienza e conformismo, vuoi perché mancarono nei momenti cruciali fondamentali anticorpi. Se ci troviamo qui oggi è proprio perché consapevoli che questi anticorpi hanno continuamente bisogno di essere alimentati e vivificati.
Perché i rischi ci sono:
innanzitutto assistiamo il riproporsi di un antisemitismo e di razzismo per opera di movimenti organizzati o anche attraverso la semplice diffusione di messaggi e slogan che i moderni strumenti di comunicazione diffondono e amplificano, garantendo l’anonimato.
Abbiamo poi il rischio attuale e drammatico, di in un attacco feroce del terrorismo rivolto non solo alla nostra sicurezza, ma ai valori e alla libertà fondamentali maturati dalle società civili democratiche.
Questo attacco produce un altro rischio: ovvero quello di una risposta basata non sulla serenità, la forza e la coesione delle democrazie, bensì sul prevalere di forme di intolleranza e di paura destinate a determinare un restringimento dei nostri stessi spazi di libertà: paradossalmente ciò che il terrorismo vuole.
E c’è infine il rischio dell’indebolirsi e magari decomporsi di quello che è stato dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale un fondamentale costruttore di pace e uno straordinario risultato per la nostra convivenza civile: mi riferisco al processo di realizzazione dell’Europa, certo non privo di errori e limiti che andrebbero superati, mantenendo però sempre ben forte la convinzione che questo processo ha fatto superare tensioni, avvicinato popoli che sembravano distanti, superato confini che erano simboli di tragedie, ci ha insomma dato pace e più libertà.

Vorrei ricordare le parole, particolarmente attuali, di Elisa Springer, scrittrice ebrea austriaca, sopravvissuta all’orrore di Auschwitz, le cui parole, oggi più che mai, appaiono particolarmente attuali:

“La nostra voce, e quella dei nostri figli, devono servire a non dimenticare e a non accettare con indifferenza e rassegnazione, le rinnovate stragi di innocenti. Bisogna sollevare quel manto di indifferenza che copre il dolore dei martiri! Il mio impegno, in questo senso, è un dovere verso i miei genitori, mio nonno, e tutti i miei zii. È un dovere verso i milioni di ebrei ‘passati per il camino’, gli zingari, figli di mille patrie e di nessuna, i Testimoni di Geova, gli omosessuali e verso i mille e mille fiori violentati, calpestati e immolati al vento dell’assurdo; è un dovere verso tutte quelle stelle dell’universo che il male del mondo ha voluto spegnere… I giovani liberi devono sapere, dobbiamo aiutarli a capire che tutto ciò che è stato storia, è la storia di oggi… e si sta paurosamente ripetendo”.

Così Elisa Springer. E quindi la storia si scrive giorno per giorno e siamo noi a doverla indirizzare verso un futuro migliore dove pace, libertà, rispetto delle persone siano valori assoluti e indiscutibili.

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